Come possiamo prenderci cura del nostro intestino d’estate?

Le alte temperature, la disidratazione, i viaggi, possono metterlo a dura prova ed essere la causa di una vera e propria condizione di stress che può provocare stipsi o diarrea. Ecco le 10 regole base proposte dall’AIGO, l’Associazione Italiana dei Gastroenterologi:

1. Evitare diete drastiche
2. Bere molta acqua
3. Assumere pasti leggeri
4. Evitare troppa caffeina e bevande gassate
5. No agli alcolici
6. Consumare frutta e verdura di stagione
7. Evitare troppi cibi zuccherati
8. Non esagerare con le fritture
9. Fare attenzione all’igiene (occhio alle infezioni alimentari)
10. Fare attività fisica regolare

Tutti dovremmo conoscere l’importanza che l’intestino ha per la nostra salute e cosa fare per renderlo il più funzionante possibile.

A tal proposito vi consigliamo la lettura (in estate è più facile trovare il tempo) di un vero e proprio caso letterario, “L’intestino felice”, edito da Sonzogno. L’autrice è Giulia Enders, gastroenterologa e divulgatrice scientifica tedesca, che con la sua prosa brillante ma sempre accuratamente scientifica, riesce a dimostrare quanto complesso e interessante sia il principale protagonista del nostro apparato digerente.
Leggiamo l’introduzione del libro di Giulia Enders e scopriamo come la salute dell’intestino sia uno dei fattori che più influenzano la nostra vita e la nostra salute.

Sono venuta al mondo con parto cesareo e non sono stata allattata. Questo fa di me un caso esemplare del panorama intestinale del XXI secolo. Se allora avessi saputo qualcosa di più sull’intestino, avrei potuto scommettere su quali malattie ero destinata a contrarre. All’inizio ero intollerante al lattosio, poi, dopo i cinque anni, la mia incompatibilità sparì e non mi chiesi mai il perché. A un certo punto diventai grassa, poi dimagrii di nuovo. Per un bel po’ di tempo godetti di buona salute, poi arrivò la “ferita”. A diciassette anni mi spuntò dal nulla una piccola lesione sulla gamba destra. Siccome non guariva mai, dopo un mese andai dal medico. La dottoressa in realtà non sapeva che cosa fosse e mi prescrisse una pomata. Tre settimane dopo avevo la gamba piena di ferite. Ben presto comparvero anche sull’altra gamba, sulle braccia e sulla schiena. A volte persino in faccia. Per fortuna, era inverno e tutti pensavano che avessi l’herpes e un’escoriazione sulla fronte. Nessun medico era in grado di aiutarmi: evidentemente soffrivo di una forma di dermatite atopica. Mi chiesero se fossi molto stressata o se mi sentissi giù. Il cortisone funzionò per un po’, ma appena smisi di prenderlo, tornò tutto come prima. Per un anno continuai a portare i collant, d’estate e d’inverno, per evitare che le ferite bagnassero i pantaloni. A un certo punto, però, decisi di darmi una mossa e cominciai a raccogliere informazioni da sola. Per caso, trovai la descrizione di una malattia della pelle molto simile alla mia. Un uomo l’aveva contratta dopo una cura antibiotica e, in effetti, io stessa un paio di settimane prima della comparsa della ferita iniziale avevo assunto antibiotici. Da quel momento, smisi di trattare la mia pelle come se fossi affetta da dermatite e partii dal presupposto di avere una malattia intestinale.

Smisi di mangiare latticini, eliminai quasi del tutto anche il glutine, assunsi diversi tipi di batteri e, in generale, cominciai a mangiare in modo più sano. In questo periodo feci alcuni esperimenti folli su me stessa… se avessi avuto le conoscenze mediche acquisite durante gli studi, ne avrei scartati almeno la metà. Una volta esagerai con lo zinco e per mesi ebbi un senso dell’olfatto estremamente acuto. Con un paio di stratagemmi, riuscii finalmente a comprendere la mia malattia. Fu un’esperienza positiva e sperimentai sulla mia stessa pelle che a volte è proprio vero che il sapere è potere. Cominciai a studiare medicina. Durante il primo semestre andai a una festa e mi ritrovai seduta accanto a un ragazzo dal fiato pesantissimo, il peggiore che avessi mai sentito in vita mia. Era un odore molto insolito: non aveva nulla a che vedere con certi aromi aspri all’idrogeno tipici dei signori anziani stressati, né con certi sentori marci e dolciastri caratteristici delle zie che mangiano troppo zucchero. Dopo un po’ mi allontanai da lui. Il giorno dopo era morto. Si era suicidato. In seguito, ripensai spesso all’episodio. Mi chiesi: possibile che un intestino molto malato abbia un odore così terribile e influenzi anche l’umore? Una settimana più tardi ebbi il coraggio di parlarne con una buona amica. Alcuni mesi dopo questa amica prese una brutta influenza gastrointestinale. Stette molto male. Quando ci incontrammo di nuovo, mi disse che forse la mia tesi poteva avere qualche fondamento, perché durante la malattia aveva provato un malessere psicologico che non le capitava di sperimentare da molto tempo. Questo mi incoraggiò ad approfondire l’argomento. Scoprii allora che esisteva un’intera branca della ricerca che si occupava proprio del legame fra intestino e cervello. E un settore in rapida espansione. Fino a dieci anni fa, le pubblicazioni sul tema erano esigue, ma ultimamente sono comparsi centinaia di articoli scientifici.

La modalità in cui l’intestino influisce sulla salute e sul benessere delle persone è uno dei campi di ricerca più importanti del nostro tempo! Il famoso biochimico americano Rob Knight ha dichiarato sulla rivista Nature che si tratta di una ricerca promettente almeno quanto quella sulle cellule staminali. Insomma, alla fine mi sono ritrovata in un ambito che mi ha sempre affascinato. Nel corso degli studi ho potuto constatare quanto l’intestino sia maltrattato all’interno della medicina. Eppure è un organo eccezionale. Costituisce due terzi del sistema immunitario, ricava energia dal pane come dai Wurstel di tofu e produce più di venti ormoni propri. Molti medici imparano molto poco sull’argomento nel corso degli studi. Nel maggio del 2013, quando andai a un congresso dal titolo Microbiome and Health (Batteri intestinali e salute) a Lisbona, i partecipanti non erano così numerosi. Circa la metà proveniva da istituzioni che potevano permettersi il lusso di appartenere alla cerchia dei “pionieri” della ricerca, come Harvard, Yale, Oxford e Lembi di Heidelberg. A volte, il fatto che gli scienziati si riuniscano a porte chiuse per discutere di importanti scoperte sconosciute al pubblico mi fa paura. È vero che in campo scientifico la prudenza in molti casi è preferibile alla diffusione di tesi avventate, ma questo tipo di timori rischia di precludere valide opportunità. Oggi è generalmente riconosciuto che spesso le persone con problemi digestivi soffrono di disturbi intestinali di origine nervosa. L’intestino manda segnali a un’area del cervello preposta all’elaborazione dei sentimenti negativi, anche se i soggetti in questione non hanno fatto nulla di male. I pazienti provano disagio e non sanno perché. Il fatto che alcuni medici li trattino come individui psicolabili e irrazionali è molto controproducente!

Ecco dunque un esempio dell’utilità di diffondere con maggiore rapidità certi risultati della ricerca! Con il presente libro mi ripropongo di fare proprio questo: rendere il sapere più fruibile, divulgare quel che i ricercatori scrivono sulle loro relazioni scientifiche e quel che viene detto nei congressi a porte chiuse, mentre tanta gente cerca risposte. Capisco perché numerosi pazienti affetti da gravi malattie siano delusi dalla medicina. Io non sono in grado di vendere rimedi miracolosi e un intestino sano non guarisce da ogni male. Tutto quel che posso fare è spiegare in tono elegante come funziona l’intestino, quali novità ci offre la ricerca e come possiamo utilizzarle per migliorare la nostra vita quotidiana. Il fatto di aver studiato medicina e di frequentare un dottorato di ricerca in un istituto di microbiologia medica mi aiuta a valutare e a smistare le informazioni. L’esperienza personale mi aiuta a comunicarle alla gente. Mia sorella mi aiuta a non divagare: tutte le volte che succede, alza lo sguardo, interrompe la mia lettura ad alta voce e dice ridendo: «Questa è da rifare.» 

Tratto da “L’intestino felice” di Giulia Enders, edizioni Sonzogno.