L’emicrania è una malattia invalidante e ad oggi la letteratura stima una prevalenza dell’emicrania pari al 14% della popolazione mondiale. L’Istituto Superiore di Sanità analizza le caratteristiche di questa patologia, evidenziandone cause, inquadramento clinico e terapie.

L’emicrania non è un sintomo ma una malattia neurologica che affligge soprattutto il sesso femminile e rappresenta la terza patologia più frequente e la seconda più disabilitante del genere umano secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ciononostante rimane una malattia misconosciuta e sottotrattata, a dispetto di una disabilità tanto grave e di costi così imponenti. L’emicrania è ancora oggi definibile, con Pirandello, un personaggio in cerca di autore, cioè una patologia severa che vaga ancora sforzandosi di rappresentare alle Istituzioni il proprio dramma per ottenere finalmente riconoscimento e cure idonee.

Epidemiologia

Questa patologia predilige nettamente il sesso femminile manifestando un rapporto donna/uomo pari a 3:1. Nella donna compare soprattutto dopo il menarca (in epoca prepuberale ne sono affetti invece maggiormente i maschi) raggiungendo il massimo della sua prevalenza nella quarta e quinta decade di vita, quindi nel periodo di maggiore produttività lavorativa e sociale dell’individuo. L’emicrania segue fedelmente l’andamento delle fluttuazioni degli ormoni sessuali femminili, presentando fasi di maggiore acuzie e severità nei giorni delle mestruazioni e dell’ovulazione. Manifesta tipicamente un miglioramento nel corso del II e III trimestre di gravidanza per poi riaffiorare in tutta la sua disabilità dopo il puerperio e l’allattamento. La scomparsa dell’emicrania con la menopausa è tutt’altro che una regola dal momento che in 1/3 delle donne persiste in forma immodificata mentre in 1/3 manifesta al contrario un peggioramento .

Quadro clinico

L’emicrania è una tempesta che dura diversi giorni e può comparire già 24 ore prima del dolore con sintomi vaghi quali stanchezza, irritabilità, depressione, sbadiglio, particolare appetito per dolci per poi sfociare nell’attacco vero e proprio che dura dalle 4 alle 72 ore. In questa fase si sommano drammaticamente un dolore severo, riguardante tipicamente una metà del capo, e un corteo di sintomi vegetativi quali la nausea, spesso molto intensa, e il vomito, caratterizzato talora da conati ripetuti. Il dolore è pulsante e si esaspera con il benché minimo movimento, costringendo il soggetto a ritirarsi in disparte, isolato da rumori e luci verso i quali diviene sensibilissimo. Spesso l’emicranico non riesce nemmeno a sdraiarsi in quanto il dolore può diventare ancora più martellante; ne deriva una postura sofferente, spesso in poltrona, nella penombra. Nel 30% dei soggetti, la fase dolorosa è preceduta dalla cosiddetta aura, cioè da un sintomo neurologico focale (in genere disturbi del campo visivo, difficoltà a convertire il pensiero in parole) che dura mediamente 20-30 minuti, dissolvendosi poi con la comparsa della fase dolorosa. L’emicrania è dunque paragonabile a una severa perturbazione atmosferica che si ripete diverse volte al mese e può durare nel suo complesso fino a 5-6 giorni per ogni attacco.

Cause e meccanismi

L’emicrania è una malattia neurovascolare a carattere familiare con base verosimilmente genetica. Gli studi condotti sino a oggi testimoniano il coinvolgimento di almeno 38 geni di suscettibilità. Il cervello emicranico è ipereccitabile ma paradossalmente ipometabolico: in sostanza, spende molta più energia di quanta ne produca. La sua caratteristica tipica è di convertire in dolore gli stimoli non dolorosi quali lo stress, le variazioni ormonali femminili, i cambi climatici, le irregolarità del ritmo sonno-veglia, il digiuno, ecc. Si pensa che un ruolo chiave nello scatenamento dell’attacco sia svolto dalla corteccia cerebrale prefrontale, deputata al processamento degli eventi stressanti, così come dall’ipotalamo, organo sensibile alle variazioni dei ritmi di vita e responsabile dei prodromi dell’attacco. Durante la fase dolorosa vera e propria, tuttavia, il primattore è il sistema trigemino-vascolare, costituito dall’interconnessione tra la prima branca trigeminale e i vasi meningei.

La donna emicranica presenta in genere un maggiore numero disturbi concomitanti. Inoltre un ruolo determinante nell’incremento del rischio è svolto dai contraccettivi ormonali: l’etinilestradiolo è infatti un riconosciuto fattore di rischio per le trombosi arteriose e venose. Nella donna emicranica con aura l’impiego di associazioni estroprogestiniche non solo può peggiorare o addirittura scatenare le crisi ma incrementa anche nettamente il rischio di eventi ischemici cerebrali, specie se la donna sia dedita anche al fumo. Il loro uso va pertanto assolutamente abolito in tali pazienti. Il rischio ischemico non è invece incrementato in caso di assunzione di contraccettivo a base di solo progestinico.

Terapie

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Ogni trattamento farmacologico deve essere sempre associato all’adozione di un miglioramento delle abitudini e alla rimozione dei fattori scatenanti evitabili (si pensi al digiuno o alla privazione del sonno).

La terapia dell’emicrania si distingue in:
terapia acuta, volta a spegnere l’attacco;
terapia di profilassi, volta a prevenirlo.

La terapia acuta dell’attacco si è avvalsa nel lontano passato solo di antiinfiammatori ed ergotaminici, farmaci non specifici e in grado di arrecare non solo eventi avversi ma anche severi rischi per la salute. La scena è decisamente cambiata con l’avvento dei triptani nel 1991: si tratta di molecole specifiche e selettive caratterizzate da buona efficacia. Tuttavia circa il 30% dei pazienti non risponde a tale trattamento. Sono oggi allo studio altre classi farmacologiche per la cura dell’attacco acuto, denominate ditani e gepanti.

La terapia preventiva dell’emicrania deve essere affiancata alla terapia acuta quando il soggetto emicranico presenti almeno 4 giorni al mese di emicrania disabilitante; essa deve essere eseguita per un periodo continuativo di 4-6 mesi e si considera efficace quando induce una riduzione della frequenza degli attacchi di almeno il 50%. Pur essendo la terapia “più curativa” del soggetto emicranico è invece ancora oggi la meno adottata: a fronte di circa un 30% di soggetti che ne potrebbe beneficiare, solo l’1,6% la utilizza nella realtà. Il motivo è duplice: da un lato la scarsa conoscenza del problema da parte del paziente e del medico non specialista, dall’altra i numerosi eventi avversi (sonnolenza, aumento di peso, disturbi della memoria) correlati alle profilassi attualmente disponibili e rappresentate da antiepilettici, antidepressivi, betabloccanti, calcio-antagonisti. La ridotta tollerabilità determina l’interruzione del trattamento dopo 4 mesi in circa un paziente su 2. Le classi farmacologiche finora impiegate possono essere rischiose per la donna sia per le potenzialità di indurre malformazione dell’embrione in caso di gravidanza (topiramato, valproato, sartani) che per la possibilità di ridurre l’efficacia dei contraccettivi orali (topiramato).

Da quest’anno sarà disponibile in Italia una nuova categoria di farmaci noti come “anticorpi monoclonali antiCGRP/CGRP-R”, già in commercio negli Stati Uniti e in alcune nazioni europee. Si tratta della prima terapia specifica e selettiva per la prevenzione dell’emicrania, somministrata mensilmente per via sottocutanea per alcuni mesi. Gli studi registrativi, condotti su oltre 4500 pazienti, hanno dimostrato un’ottima efficacia (riduzione degli attacchi >50% nel 60-70% dei pazienti; riduzione >75% nel 45% dei casi; riduzione del 100% nel 25% dei soggetti) con eccellente tollerabilità.

Tratto da “Emicrania: una malattia di genere” – A cura dell’Istituto Superiore di Sanità – Centro di Riferimento per la Medicina di Genere